tecnici e giuristi insieme: approfondimenti tecnico-giuridici sistematici

Paesaggio - Giurisprudenza

TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 13 marzo 2012

Parere vincolante soprintendenza - impugnabilità - natura

La sentenza evidenzia che:

il parere della Soprintendenza è atto endoprocedimentale;

l’impugnazione di tale atto endoprocedimentale è comunque ammissibile, perché, per la sua natura vincolante, il parere produce immediatamente una lesione della sfera giuridica dell’interessato, che questi potrebbe avere interesse a rimuovere già prima che sia concluso il procedimento;

per l’impugnazione dell’atto endoprocedimentale che produca un arresto del procedimento non esistono deroghe alla regola generale della decorrenza del termine dalla piena conoscenza dello stesso;

 

TAR Veneto, Sez. II, 25 gennaio 2012

Pannelli fotovoltaici - parere Soprintendenza e consumazione dell'esercizio del potere in capo alla stessa

La sentenza rileva per l'esposizione di quanto segue:

Il parere sfavorevole e vincolante della Soprintendenza appare viziato da travisamento e difetto di motivazione ed è evidentemente fondato – come osservato dai ricorrenti - sul postulato che la presenza dei pannelli fotovoltaici costituisca comunque un degrado per l’ambiente circostante, quale che siano la modalità di installazione e le loro dimensioni: ciò che, viceversa, secondo ragionevolezza ed esperienza, non si può affermare per la gran parte degli stessi – ormai diffusamente presenti sul territorio, e largamente incentivati dalle leggi statali e regionali – e comunque per l’impianto de quo.

Infatti, nel secondo progetto, i pannelli fotovoltaici costituiscono l’omogenea copertura di una sola falda del tetto – con cui fanno dunque corpo – della costruzione, la quale a sua volta appartiene alla tipologie delle villette unifamiliari su due piani, di recente e normale fattura, posta al lato di una strada totalmente urbanizzata (dove si contano decine di costruzioni consimili) e non lontana da una scuola e da una chiesa: la stessa Soprintendenza, del resto, riconosce che è fuori del nucleo abitato in cui si trova la costruzione interessata che il sito assume connotati di rara bellezza naturalistica.

Affermare che un simile intervento possa alterare il panorama della zona non pare ragionevolmente sostenibile, considerato che il Castello di Collalto, ragione e perno del vincolo, si trova a chilometri di distanza: la presenza dei pannelli fotovoltaici appoggiati sul tetto di una qualsiasi abitazione, e formanti corpo con esso, è insignificante in un siffatto contesto, tanto più considerata l’ampia ed acquisita presenza sul territorio regionale di impianti simili, di contenute analoghe dimensioni, tali da essere ormai divenuti un elemento architettonico sostanzialmente insignificante.

In altri termini, non s’intende affermare che, nello specifico contesto, quei pannelli non aggravano un ipotetico preesistente degrado, ma invece che gli stessi si pongono come un intervento che non altera il contesto perché, in concreto, non lo trasforma.

I pareri 19 luglio 2011 prot. n. 20050 e 30 agosto 2011 prot. 23631, della Soprintendenza ed il provvedimento 21 settembre 2011, prot. n. 15701 del Comune di Susegana vanno dunque annullati.

Per effetto dell’annullamento giurisdizionale, che, stante l'originaria illegittimità dell'atto amministrativo, produce i suoi effetti ex tunc, si deve ritenere definitivamente consumato il potere della Soprintendenza di ripronunciare un ulteriore parere, in conformità al disposto di cui all’art. 146, comma V segg, del d. lgs. 42/04: su tale fondamento il Comune dovrà riprovvedere sull’autorizzazione paesaggistica richiesta.

 

TAR Veneto, Sez. II, 25 gennaio 2012

Sulla motivazione necessaria a sorreggere il parere contrario della Soprintendenza per negare l'autorizzazione

La sentenza dà evidenza al fatto che:

La Soprintendenza basa il parere contrario all’intervento sulla non conformità dello stesso con le disposizioni di cui al D.M. 5.5.1959 e con il vincolo generalizzato ex art. 142, comma 1 lettera a), del D.lgs. 42/2004, nonché sulla valutazione dell’erigenda struttura come una “superfetazione incongrua particolarmente visibile dal fronte mare, che trasforma il porticato libero aperto in un volume chiuso, alterando la facciata dell’edificio”, tipico esempio di architettura del dopoguerra “connotato dalla presenza di ampi spazi aperti a terrazza e porticati che ne garantiscono un buon inserimento nel contesto paesaggistico del litorale”.

Orbene, ad avviso del Collegio, l'argomentazione utilizzata dalla Soprintendenza per giustificare il parere contrario risulta anodina e apodittica, in quanto è stata formulata senza chiarire in che modo specifico un intervento caratterizzato da vetrate trasparenti, prive di strutture e profili verticali e ancorate esclusivamente al soffitto con un profilo in alluminio di 4 cm, sia “una superfetazione incongrua, particolarmente visibile dal fronte mare”, e quale dovrebbe essere il valore formale e architettonico che lo stesso dovrebbe presentare per poter risultare compatibile con l'imposto vincolo. Tali considerazioni risultano vieppiù rafforzate dall’assenza di qualsiasi valutazione da parte dell’Amministrazione del fatto che l’opera progettata prevede l’uso di materiale già utilizzato nel medesimo edificio per la tamponatura della sovrastante terrazza.

Anzi, a ben guardare, per giustificare il parere contrario sarebbe stata necessaria da parte della Soprintendenza una compiuta confutazione sul piano oggettivo del diverso opinare degli organi comunali – che hanno ritenuto la conformità dell’intervento alle disposizioni urbanistiche vigenti - con specifica e puntuale indicazione degli aspetti progettuali in contrasto con il contenuto del vincolo (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 24.11.2010, n. 25733).

Per tutte le suesposte ragioni il ricorso è, dunque, meritevole di accoglimento con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati.

 

Cass. Pen., Sez. III, 28 dicembre 2011

Il reato di cui all'art. 181, co. 1-bis, d.lgs. 42/2004

L'attuale formulazione dell'articolo 181 del Codice del Paesaggio prevede:

1. Chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici è punito con le pene previste dall'articolo 44, lettera c), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

1-bis. La pena è della reclusione da uno a quattro anni qualora i lavori di cui al comma 1:

a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche, siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori;
b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell'articolo 142 ed abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi.

Nell'asserire al comma 1-bis che la pena è della "reclusione" significa che il reato in questione è un delitto (e non una contravvenzione), per cui la sua configurabilità necessita dell'elemento psicologico (art. 43 C.P.).

La sentenza in oggetto (pubblicata su Lexambiente) stabilisce che "La fattispecie di cui all'art. 181, comma 1bis, D,Lgs. n. 42/2004 e punita a titolo di dolo generico. Quanto alla coscienza dell'antigiuridicità dell'azione, presupposto della responsabilità penale è la conoscibilità, da parte del soggetto agente, dell'effettivo contenuto precettivo della norma e, secondo la sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale (in relazione alla previsione dell'art. 5 cod. pen.), va considerata quale limite alla responsabilità personale soltanto l'oggettiva impossibilità di conoscenza del precetto (c.d. ignoranza inevitabile, e quindi scusabile, della legge penale)."

 

TAR Piemonte, Sez. 2, sentenza del 27-10-2011

Funzione della tutela paesaggistica: aspetto esteriore (visibile) del territorio

La sentenza conferma che:

Ritenuto, con riferimento al diniego di accertamento di compatibilità paesaggistica, che siano condivisibili gli assunti di parte ricorrente, atteso che appare necessario privilegiare un’interpretazione finalistica del dato normativo (art. 167, comma 4, del D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), che sia, al contempo, “aderente alla ragione d’essere e alla funzione essenziale della tutela paesaggistica e coerente con le sempre più avvertite esigenze di semplificazione e di proporzionalità nel commisurare la risposta sanzionatoria dell’ordinamento all’effettiva portata lesiva del bene protetto propria dell’abuso commesso” (cfr. parere in data 13 settembre 2010 dell’Ufficio legislativo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali);

Ritenuto, al riguardo, di evidenziare che la funzione essenziale della tutela paesaggistica sia da sempre (ed ora ritraibile dall’art. 1 della Convenzione europea sul paesaggio, ratificata con legge 9 gennaio 2006, n. 14, e dagli artt. 131, 146, comma 1, e 149 del D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42) da ricondursi all’aspetto visibile del territorio, conseguendone che, costituendo la percepibilità della modificazione dell’aspetto esteriore del bene protetto un prerequisito di rilevanza paesaggistica del fatto, la sua insussistenza è da ritenersi idonea ad elidere, alla radice, la sussistenza stessa dell’illecito contestato, senza che possa darsi corso a valutazioni o apprezzamenti di sorta sull’esistenza di superfici utili o di volumi;

Cass. Pen., sez. 3, 29 settembre 2011

Obbligo autorizzazione paesaggistica per attività al di fuori di qualsiasi pratica colturale

La sentenza in commento evidenzia:

Si è già precisato al riguardo, infatti, richiamando precedenti arresti di giurisprudenza della Corte (cfr. Cass. n. 29483/2004, Cass. n. 35689/2004, Cass. n. 16036/2006), che in materia di tutela ambientale (rectius: paesaggistica), qualsiasi modificazione del territorio, al di fuori delle ipotesi consentite, purchè astrattamente idonea a ledere il bene protetto, configura il reato di cui all'articolo 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004.

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TAR Lombardia, Milano, sez. 4, 17-5-2011

Piano casa Lombardia (l.r. 13/09): si applica anche in zona con vincolo paesaggistico

Il TAR della Lombardia, Milano, in riferimento al piano casa, osserva:

in primo luogo che il legislatore regionale, ai fini urbanistici che rientrano nei suoi poteri, ha ritenuto di ammettere interventi edilizi in deroga ai limiti della pianificazione urbanistica senza tenere conto, con particolare riferimento ai vincoli paesistici, della classificazione dei medesimi, a seconda della fonte, in vincoli derivanti dalla legge o da provvedimento amministrativo.

Ne consegue che è rilevante ai fini dell’applicazione delle norme in questione esclusivamente il fatto che il vincolo, da qualunque fonte provenga, contenga riferimenti espressi all’edificio ed al “relativo ambito”.

In secondo luogo la norma fa riferimento al contenuto del vincolo, che deve avere per oggetto un edificio e l’area vincolata a tutela del medesimo.

Deve quindi escludersi l’interpretazione ampia fornita dal Comune secondo il quale per “relativo ambito” si deve intendere qualsiasi area interessata da un vincolo paesaggistico nel quale rientri almeno un immobile. Tale interpretazione infatti finirebbe per far coincidere l’area esclusa dal c.d. piano casa con quella interessata da qualsiasi vincolo paesistico, eliminando quella parte della norma in cui il legislatore regionale ha inteso dare rilievo al contenuto del vincolo.

 

CdS, sez. IV, 01.04.2011

Realizzazione strada a servizio di un immobile: incompatibile in zona agricola se sussistono leggi regionali di tutela per tali zone

Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato asserisce che:

Occorre evidenziare come il criterio interpretativo seguito dal giudice di prime cure sia, in linea del tutto generale, certamente condivisibile.

Infatti, è esatto affermare che, secondo il più diffuso orientamento giurisprudenziale, “non può riconoscersi incompatibilità – e pertanto non occorre la preventiva approvazione di una variante – fra la destinazione a zona agricola contenuta in uno strumento urbanistico e la costruzione di una strada che l’attraversi, qualora la destinazione specifica non sia alterata e turbata (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV – 9/12/1983 n. 907; Tar Sicilia Catania – 18/11/1987 n. 1395)”, sebbene tale impostazione conti anche decisioni in senso contrario (si veda T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 11 settembre 2001, n. 4102).

Tuttavia, il criterio generale, di carattere interpretativo, non può trovare applicazione ove questo venga a scontrarsi con espresse previsioni normative in senso opposto. È questo il caso, applicabile alla fattispecie in scrutinio anche ratione temporis, della legge regionale della Lombardia n. 63 del 7 giugno 1980 “Norme in materia di edificazione nelle zone agricole”, che all’art. 2, comma 1, recita: “In tutte le aree destinate dagli strumenti urbanistici generali a zona agricola sono ammesse esclusivamente le opere realizzate in funzione della conduzione del fondo e destinate alle residenze dell'imprenditore agricolo e dei dipendenti dell'azienda, nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive quali stalle, silos, serre, magazzini, locali per la lavorazione e la conservazione e vendita dei prodotti agricoli secondo i criteri e le modalità previsti dal successivo art. 3”.

Lo stesso articolo, al comma 3, precisa: “Nel computo dei volumi realizzabili non sono conteggiate le attrezzature e le infrastrutture produttive di cui al comma 1° del presente articolo, le quali non sono sottoposte a limiti volumetrici; esse comunque non possono superare il rapporto di copertura del 10% dell'intera superficie aziendale, salvo che per le serre per le quali tale rapporto non può superare il 40% della predetta superficie”.

Dalla lettura della norma, appare palese l’attenzione del legislatore a limitare gli interventi nelle aree agricole non solo dal punto di vista della realizzazione di volumetria fruibile, ma anche in relazione a qualsiasi tipo di attrezzatura o infrastruttura che possa comunque incidere sulla copertura della superficie. In questa ottica, anche una strada, sebbene tipologia di intervento non indicata nella casistica non esaustiva del comma 1, va certamente fatta ricadere nella tipologia di opere ivi regolate.

Pertanto, l’intervento in zona a destinazione agricola, anche inerente alla realizzazione di una strada, è subordinato all’esistenza del collegamento teleologico di cui allo stesso comma 1, ossia “in funzione della conduzione del fondo e destinate alle residenze dell'imprenditore agricolo e dei dipendenti dell'azienda, nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive”.

Nel caso in specie, invece, la strada costruita è posta al servizio di un nuovo immobile a destinazione residenziale, composto di quattro unità abitative. Non vi è quindi alcun collegamento tra l’opera realizzata e la funzionalizzazione imposta dalla norma regionale, non tenuta presente dal T.A.R., e quindi correttamente il Comune aveva evidenziato la non compatibilità con la destinazione di zona.

TAR Toscana, sez.3, 11.02.2011

Vincolo paesaggistico: caratteristiche esterori (estetiche)

La sentenza ha il pregio di evidenziare che:

ai fini della verifica di compatibilità paesaggistica, non l’esercizio di discrezionalità amministrativa o politica, ma valutazioni tecniche ...

elementi come la qualità dei materiali utilizzati, la conformazione del manufatto e le sue caratteristiche esteriori ben possono costituire, anche secondo la comune esperienza, fattori di obiettivo pregiudizio per i valori estetici protetti. Inoltre, tali connotazioni accomunano una vasta gamma di interventi abusivi, sicchè non rileva che la motivazione addotta dall’Autorità preposta alla tutela del vincolo si presenti pressoché identica per un gran numero di casi (TAR Toscana, III, 26/2/2002, n.420; idem, 18/1/2010, n.43). Del resto la giurisprudenza ha ribadito la legittimità della motivazione succinta incentrata su caratteristiche della costruzione che ne impediscono il corretto inserimento nella zona (TAR Toscana, III, 27/11/2006, n.6052).

TAR Veneto, sez. II, 8.03.2011

Violazione legge 1497/39 - è sanzione amministrativa e non risarcimento danno ambientale

Il TAR ribadisce un orientamento consolidato in materia: "è anzitutto da rilevare che la sanzione, prevista dal ripetuto art. 15 l. 1497/39, non costituisce un’ipotesi di risarcimento del danno ambientale, ma rappresenta una sanzione amministrativa applicabile sia in caso di illeciti sostanziali - compromissione dell’integrità paesaggistica - sia nella ipotesi di illeciti formali - mancanza del titolo autorizzatorio (C.d.S., VI, 28 luglio 2006, n. 4690 e 2 giugno 2000, n. 3184; id. IV, 15 novembre 2004, n. 7405 e 12 novembre 2002, n. 6279)".



TAR Veneto, sez. II, 15.02.2011

Il vincolo "culturale" art. 10 d.lgs. 42/2004 - archeologia industriale - edifici privi di valore intrinseco - preminenza degli aspetti generali - ammissibilità

Con la sentenza in commento il TAR del Veneto interviene sul decreto di dichiarazione di «…particolare interesse storico artistico ai sensi dell’art. 10 del D.lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004, per i motivi contenuti nella relazione storico artistica …», evidenziando:

6. Orbene, come già condivibilmente affermato da questo Tribunale nella sentenza avente ad oggetto l’apposizione del vincolo di interesse storico artistico sui magazzini generali di Verona, il fatto che nell'ambito degli stessi «esistano edifici di riconosciuto pregio architettonico (come la stazione frigorifera) ed altri privi di alcun valore non appare decisivo, non trattandosi di un vincolo di carattere architettonico, che deve trovare la propria giustificazione nel valore dei singoli elementi componenti l'insieme, quanto di un vincolo storico -culturale riferito ad un complesso di beni, ritenuto degno di conservazione come testimonianza storica ed esempio significativo di archeologia industriale della realtà veronese» (cfr. TAR Veneto, II, 15.1.2001, n. 35, poi confermata da Cons. Stato, VI, 7.9.2006, n. 5167) .

6.1. E, infatti, la tutela imposta sui siti espressione di archeologia industriale non tende a salvaguardare un bene per la sua intrinseca bellezza, quanto per il suo valore storico -culturale: il vincolo è funzionale alla conservazione di significative testimonianze dei modi di essere degli aggregati urbani e delle produzioni architettoniche, in una precisa connessione (diversamente non realizzabile) con determinate attività di carattere economico - produttivo.

6.3. Orbene, l’interesse che giustifica il provvedimento di vincolo si riferisce, quindi, alla globalità delle strutture, come attesta specificamente la relazione storico - artistica annessa al provvedimento di vincolo, che, pur se largamente incentrata sulla descrizione delle varie fasi di produzione della birra, dedica la parte finale all’intero complesso immobiliare, ricordando come esso sia sorto nel 1873, sia stato profondamente rimaneggiato nel 1923, a seguito dei bombardamenti della prima guerra mondiale, e presenti delle caratteristiche peculiari non solo per quanto concerne l’articolazione sotterranea delle vasche, ma anche per quel che attiene a delle peculiarità architettoniche e delle tipologie decorative che ne fanno un unicum nel suo genere. Ne discende, dunque, che il detto complesso considerato nella sua unitarietà costituisce, quindi, un bene rappresentativo di una particolare epoca e di una specifica attività produttiva.



TAR Veneto, sez. II, sentenza 23 aprile 2010

Autorizzazione paesaggistica - sanatoria ex art. 167

La sentenza affronta le tematiche relative all'autorizzazione paesaggistica in sanatoria ai sensi dell'art. 167 del Codice, con particolare riferimento ai requisiti tassativi richiesti per la sanatoria ex psot e alla natura del parere sulla compatibilità paesaggistica da parte del Soprintendente.


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