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Legale - art. 3, lettera a, d.p.r. n. 380/2001

"gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti".

Giurisprudenziale

C.d.S., sez. IV, 30-06-2005 n. 3555
Come noto e per quanto di interesse ai fini della presente controversia, l’art. 6, co. 1, n. 1) t.u. edilizia dispone che, fatte salve le più restrittive disposizioni previste dalla normativa regionale, gli interventi di manutenzione ordinaria possono essere eseguiti senza titolo abilitativo (permesso di costruire, super d.i.a., d.i.a. normale).

L’art. 3, co. 1, lett. a) del medesimo t.u. (in parte qua riproduttivo delle norme sancite dall’art. 31, l. n. 457 del 1978), specifica che si intendono per interventi di manutenzione ordinaria << . . .gli interventi edilizi riguardanti le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti>>.

Nel caso di specie la sbarra in contestazione non può propriamente essere qualificata edificio; si tratta, invece, di un’opera tecnologica a servizio del fondo rustico cui accede per delimitarne i confini.

Deve ritenersi pacifico che sia nel vecchio regime che in quello nuovo introdotto dal t.u. edilizia, l’installazione ex novo di cancelli o sbarre infisse al suolo permanentemente non possa ricondursi all’attività di manutenzione ordinaria, abbisegnovole com’è di titolo abilitativo (prima autorizzazione edilizia, ora d.i.a. c.d. leggera, cfr. sez. II, 27 ottobre 2004, n. 1823\2003; sez. V, 15 ottobre 2003, n. 6293; sez. II, 12 maggio 1999, n. 720\1999; sez. V, 6 ottobre 1993, n. 994).

Si è anche precisato che la nozione di manutenzione ordinaria è di per sé incompatibile con la realizzazione di nuovi e consistenti manufatti, quand’anche vengano destinati ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti (cfr. sez. V, 6 ottobre 1993, n. 994), fermo restando che si tratta comunque di attività edilizie in senso proprio, ossia di attività di trasformazione del territorio mediante un’attività antropica tesa alla formazione di un opus espressione (come nel caso di specie) di ius utendi più che di ius edificandi.

Deve evidenziarsi, però, che l’elemento ontologico qualificante dell’attività di manutenzione ordinaria fa si che gli elementi da rinnovare, integrare e mantenere in efficienza possono anche risultare diversi da quelli oggetto di intervento (sostituzione di infissi in legno con infissi di alluminio, automazione di cancello prima ad apertura manuale, materiali diversi), con il limite che il nuovo elemento non risulti né tipologicamente né funzionalmente diverso dal precedente non potendosi dare origine ad un quid novi.

Ed ovviamente tale giudizio, squisitamente relativo, dovrà essere contestualizzato e riferito alle specificità del caso concreto nonché all’evoluzione tecnologica dei sistemi costruttivi.

Sotto il profilo sistematico e storico, tale interpretazione dinamica del concetto di manutenzione ordinaria è quella che meglio si confà alle istanze di moderata e controllata liberalizzazione dell’attività edilizia sottese alla redazione del nuovo t.u. dell’edilizia.

Nel peculiare caso di specie deve escludersi che sia stato realizzato un manufatto <<funzionalmente nuovo>> ovvero <<di grande consistenza>>, in sintonia con l’ampia casistica della giurisprudenza di merito che in vicende simili ha ricompreso nell’attività di manutenzione ordinaria:

a) l’automazione di una sbarra preesistente;

b) la sostituzione di antenne preesistenti di impianti di telefonia cellulare diverse solo dal punto di vista tecnico;

c) la sostituzione di una caldaia;

d) la sostituzione di pali telefonici fatiscenti.

 

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