CONSIGLIO DI STAT Ricorso n. 3530/05     Sent 6464/06
 

salva
 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso in appello iscritto al NRG. 3530 dell’anno 2005 proposto da MENEGHETTI ADRIANO, rappresentato e difeso dagli avvocati Riccardo Szemere e Livio Danni Lago, con i quali è elettivamente domiciliato in Roma. Via Confalonieri n. 5 (presso lo studio del primo);

contro

COMUNE DI FONTANIVA, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Vittorio Domenichelli e Luigi Manzi, con i quali è elettivamente domiciliato in Roma, via Confalonieri, n. 5 (presso lo studio del secondo);

e nei confronti di

MENEGHETTI RENATO E ANSELMI ELDA MARIA, rappresentati e difesi dagli avvocati Fulvio Lorigiola e Michele Costa, con i quali sono elettivamente domiciliati in Roma, via Bassano del Grappa, n. 24 (presso lo studio del secondo);

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sez. II, n. 367 del 20 febbraio 2004;

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Fontaniva e dei signori Renato Meneghetti e Elda Maria Anselmi;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive tesi difensive;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 28 febbraio 2006 il Consigliere Carlo Saltelli;

Uditi per le parti gli Avv.ti L. Danni Lago, L. Manzi e F. Lorigiola;

Ritenuto in fatto e considerato quanto segue.

FATTO

Il Comune di Fontaniva, e per esso il Responsabile dell’Unità operativa servizi tecnici, rilasciava in data 28 maggio 2003, con atto prot. 13824/2002, ai signori Renato Meneghetti e Elda Maria Anselmi la concessione edilizia n. 120/2002 per eseguire lavori di ristrutturazione e ampliamento del fabbricato residenziale e commerciale, insistente sull’area di loro proprietà (in catasto, Sez. U, foglio 9, mapp. N. 258), secondo i relativi elaborati di progetto.

Con ricorso giurisdizionale notificato il 10 ottobre 2003 il signor Adriano Meneghetti, comproprietario di un fondo catastalmente identificato ai mappali n. 462 e 366 (ora solo mappale n. 462), della Sezione A, del foglio 9 del catasto terreni del Comune di Fontaniva, confinante a nord con quello dei signori Renato Meneghetti e Elda Maria Anselmi, rilevando che i lavori assentiti non costituivano una mera ristrutturazione edilizia, ma comportavano l’integrale demolizione e successiva ricostruzione del corpo esistente con aumento di volume, chiedeva al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto l’annullamento della citata concessione edilizia n. 120/2002 del 28 maggio 2003, alla stregua di un unico articolato motivo di censura, rubricato “Violazione di legge: artt. 9 -12 -18 NTA PRG, art. 5 – 6 R.E. e del Repertorio normativo – eccesso di potere: difetto di istruttoria e di procedura”.

In effetti, secondo il ricorrente, la disciplina urbanistica vigente, costituita dalle previsioni del piano regolatore generale e alle relative norme tecniche di attuazione, consentiva l’ampliamento di edificio esistente nel rispetto dei distacchi dalla strada, dai confini e tra pareti finestrate e parete di edifici antistanti: in particolare, la distanza minima tra fabbricato e il confine di altra proprietà era fissata in 5 metri che, nel caso di specie, non risultava rispettata; peraltro tale distanza doveva essere rispettata anche in caso di ricostruzioni e di nuova costruzione, qual’era quella effettivamente oggetto della contestata concessione.

Con motivi aggiunti notificati il 29 ottobre l’originario ricorrente deduceva altri tre motivi di censura, rubricati rispettivamente “Eccesso di potere: difetto di motivazione – Violazione di legge: art. 3, comma 1, L. n. 241/90 e della circolare regionale 23.6.1995 n. 19”, “Violazione di legge art. 4, commi 1 – 2 L. n. 493/1993” e “Violazione di legge: art. 12 così come richiamato dall’art. 18 NTA PRG – eccesso di potere: difetto di istruttoria”, con cui si lamentava l’illegittimità dell’autorizzazione paesaggistica, la mancanza della dettagliata relazione del responsabile del procedimento ai fini dell’emanazione dell’impugnata concessione edilizia e la violazione delle distanze dal confine anche rispetto ai mappali 226 e 258.

Con ulteriori motivi aggiunti, notificati il 7 febbraio 2004, veniva chiesto l’annullamento del permesso di costruire, in variante alla concessione edilizia n.120/2002, rilasciato in data 11 dicembre 2003, e l’autorizzazione paesaggistica in data 12 novembre 2003, deducendo innanzitutto il vizio di illegittimità derivata, nonché “eccesso di potere: difetto di motivazione – violazione di legge art. 12 – 18 NTA PRG, artt. 5 – 6; art.3, comma 1, d), DPR N. 380/01”, in quanto anche dopo la variante al progetto iniziale con eliminazione di una sopraelevazione, si era in presenza pur sempre di una nuova costruzione e non di una ristrutturazione edilizia, mancando l’identità di sagoma, e ciò a prescindere dalla già denunciata violazione delle distanze minime dal confine; “Violazione di legge: art. 3 L. n. 241/90 e della circolare regionale 23.6.1995, n . 19 – Eccesso di potere: motivazione carente”, in quanto l’autorizzazione paesaggistica era assolutamente priva di motivazione, risolvendosi in una mera formula di stile del tutto inidonea a comprendere le ragioni del parere favorevole, motivazione tanto più necessaria trattandosi di un intervento di ricostruzione e non di mera ristrutturazione urbanistica; “violazione di legge: art. 20, comma 3, DPR n. 380/2001 – Eccesso di potere: errata rappresentazione dei presupposti di fatto ed insufficienti istruttoria e motivazione”, in quanto la relazione del responsabile del procedimento era assolutamente priva della necessaria attività istruttoria volta al completo accertamento dei fatti necessari per l’adozione del provvedimento finale.

L’adito Tribunale, sez. II, nella resistenza dell’intimato Comune di Fontaniva e dei controinteressati, in favore dei quali erano stati rilasciati i contestati titoli edilizi, con la sentenza n. 367 del 20 febbraio 2004, assunta nella forma semplificata all’udienza fissata per la discussione dell’incidente cautelare, respingeva il ricorso, ritenendo legittimi sia il provvedimento impugnato con il ricorso originario ed i primi motivi aggiunti (concessione edilizia n. 120/2002 del 28 maggio 2003) , sia quelli impugnati con gli ulteriori motivi aggiunti (concessione in variante dell’11 dicembre 2003 e autorizzazione paesaggistica del 12 novembre 2003), destituite di fondamento giuridico essendo le censure sollevate.

Avverso tale statuizione il signor Adriano Meneghetti ha interposto appello, chiedendone la riforma alla stregua di due motivi di gravame, il primo rubricato “Violazione e falsa applicazione di legge: artt. 9 -12 -18 NTA PRG, art. 5 – 6 R.E. e del Repertorio normativo; art. 31, lett. d), L. n. 457/1978 e art. 3, comma 1, d. DPR n. 380/2001; circolare ministeriale n. 4174/2003 – Motivazione carente, illogica ed apparente, anche con riferimento al dedotto vizio di illegittimità derivata” e il secondo “Violazione e falsa applicazione di legge: art. 3 L. n. 241/90 e della circolare regionale n. 19 in data 23/06/1995 – Motivazione carente”, con i quali sono stati sostanzialmente riproposti tutti i motivi di censura sollevati in primo grado, superficialmente esaminati ed inopinatamente respinti con motivazione carente e non condivisibile.

Anche nel giudizio di appello si sono costituiti il Comune di Fontaniva ed i signori Renato Meneghetti e Elda Maria Anselmi, chiedendo il rigetto dell’avverso gravame, siccome inammissibile ed infondato.

Tutte le parti hanno illustrate le proprie tesi difensive con ampie memorie depositate nell’imminenza dell’udienza di discussione.

DIRITTO

I. L’appello è infondato e deve essere respinto.

I.1. Con il primo motivo l’appellante ripropone la tesi della illegittimità della concessione edilizia n.120/2002, prot. 13824/2002, del 28 maggio 2003 e della successiva variante n. 144/2003, prot. 13160/2003, dell’11 dicembre 2003, rilasciate dal Comune di Fontaniva, e per esso dal Responsabile dell’Unità Operativa Servizi Tecnici, ai signori Renato Meneghetti e Anselmi Elda Maria, sull’assunto che gli interventi assentiti sul fabbricato residenziale e commerciale insistente sul fondo censito in catasto alla sez. U, foglio n. 9, mapp. N. 258, non sarebbero di ristrutturazione edilizia, ma costituirebbero una vera e propria nuova costruzione, in quanto caratterizzati da integrale demolizione e ricostruzione del preesistente senza identità di sagoma e con variazione volumetrica; come nuovo intervento edilizio esso non rispetterebbe le previsioni della disciplina urbanistica vigente (piano regolatore e norme tecniche di attuazione).

La tesi non è meritevole di accoglimento.

I.1. Secondo la disposizione contenuta nell’articolo 3, lettera c), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sono interventi di ristrutturazione edilizia “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quella preesistente, fatte salve le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”.

Come si ricava dall’esegesi della norma, anche in relazione, peraltro, alla definizione degli interventi di nuova costruzione (ex lett. e) del predetto articolo 3 (che sono quegli interventi di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio che non rientrano nelle categorie individuate dalle altre lettere dello stesso articolo) il concetto di ristrutturazione urbanistica comprende, per un verso, la trasformazione degli organismi edilizi con un insieme sistematico di opere che possono portare anche ad un organismo in tutto od in parte diverso dal precedente, sempreché detti interventi riguardino solo alcuni elementi dell’edificio (in particolare: il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costituitivi dell’edificio; l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi o nuovi impianti) e, per altro verso, anche la demolizione e ricostruzione sempreché ciò avvenga con la stessa volumetria e sagoma.

Lo stesso articolo 5 del Regolamento edilizio del Comune di Fontaniva (peraltro non impugnato e ancorchè precedente alla normativa contenuta nel ricordato D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, le cui definizioni degli interventi edilizi, ai sensi del secondo comma del già citato articolo3, prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi) espressamente afferma che gli interventi di ristrutturazione edilizia “riguardano la trasformazione degli organismi edilizi mediante opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Gli interventi comprendono il ripristino, la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, la eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”, precisando che detti interventi di ristrutturazione edilizia non devono comportare la ricostruzione integrale dell’edificio…” .

Orbene, nel caso di specie, sulla scorta della documentazione versata in atti, la Sezione è dell’avviso che effettivamente gli interventi che sono stati assentiti con le impugnate concessioni edilizie integravano gli estremi della ristrutturazione edilizia e non già quelli di nuova costruzione.

Dalla relazione tecnica allegata al progetto di interventi a corredo dell’istanza di concessione edilizia emerge infatti che l’intervento di ristrutturazione dell’edificio dei signori Renato Meneghetti e Elda Maria Anselmi non comportava affatto la integrale demolizione dell’esistente e la successiva ricostruzione, la demolizione e ricostruzione riguardando soltanto il muro sul lato ovest, una porzione di muro sul lato nord adiacente il terreno censito in C.T., foglio 9, mappale n. 226, e una porzione di muro sul lato nord adiacente il terreno censito in C.T., foglio 9, mappale 462.

Dall’esame della tavola n. 4, allegata al progetto, come rilevato anche dai primi giudici, effettivamente non vi è traccia di interventi di demolizione e ricostruzione per quanto riguarda il lato sud ed il lato est dell’edificio preesistente, il che porta a concludere che effettivamente gli interventi riguardavano solo alcuni elementi costitutivi dell’edificio (due delle pareti perimetrali) e non la sua interezza, così che effettivamente non può ritenersi che si fosse in presenza di una nuova costruzione, bensì di una ristrutturazione edilizia, così come delineata dalla ricordata normativa locale e statale.

Un ulteriore elemento a conforto di tale ricostruzione, e cioè del fatto che l’intervento edilizio assentito non aveva determinato la integrale demolizione e ricostruzione dell’edificio in questione, si ricava anche dal verbale di sopralluogo in data 30 luglio 2003 effettuato dall’istruttore di polizia municipale e di un tecnico di comunale, proprio su segnalazione da parte dell’attuale appellante di pretese difformità compiute nell’esecuzione dei predetti lavori: in tale verbale, infatti, si legge tra l’altro che “non sono state rilevate difformità rispetto al progetto concessionato”.

Il contenuto di tale verbale non è stato peraltro mai contestato dall’appellante.

I.1.2. Poiché la questione sulla esatta definizione degli interventi edilizi assentiti con i titoli contestati era rilevante ai fini di stabilire se dovessero essere o meno rispettate le distanze dal confine (5 metri), ai sensi dell’articolo 12 del regolamento edilizio, ciò necessitando nel caso si fosse trattato di una nuova costruzione e non già di una ristrutturazione edilizia, la Sezione non può fare a meno di rilevare che l’aumento di volumetria conseguente ai lavori assentiti con la originaria concessione edilizia n. 120/2002 del 28 maggio 2003 (che comportando un ampliamento della costruzione avrebbe potuto effettivamente porre il problema di stabilire se esso imponesse o meno il rispetto della distanza) è venuto meno per effetto della variante assentita con la concessione n. 144 dell’11 dicembre 2003: né può sostenersi che l’eventuale invalidità della prima concessione si riverberasse sulla seconda, proprio perché la evidente finalità della richiesta di concessione in variante era quella di eliminare il dubbio sulle conseguenze che tale consentito (secondo la vigente disciplina edilizia) ampliamento poteva comportare sulla qualificazione giuridica dell’intervento ai fini dell’applicazione della normativa in tema di distanze.

Il fatto, poi, che per effetto della ricordata concessione edilizia in variante il volume dell’edificio da ristrutturare sia addirittura, sia pur impercettibilmente diminuito, non incide affatto sulla qualificazione giuridica dell’intervento edilizio in questione, atteso che esso, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, è da considerare come ristrutturazione edilizia per la sostituzione di alcuni elementi costitutivi e non già per la sua integrale demolizione e fedele ricostruzione.

Sotto tale profilo, dunque, i provvedimenti impugnati non meritavano le censure appuntate, come correttamente opinato dai primi giudici.

I.2. Con il secondo motivo, poi, l’appellante, anche in questo caso riproponendo le censure già sviluppate in primo grado, lamenta sostanzialmente che le autorizzazioni paesaggistiche inerenti alla impugnata concessione edilizia e alla relativa variante sarebbero prive di motivazione, in quanto non emergerebbe l’iter logico – giuridico in base al quale sarebbe stato espresso il parere favorevole all’intervento edilizio controverso: di tale evidente vizio del tutto inopinatamente i primi giudici non avrebbero tenuto conto.

Anche tale doglianza non può essere condivisa.

Com’è noto, la motivazione del provvedimento amministrativo consiste nella concreta individuazione degli elementi di fatto e di diritto in base ai quali l’autorità amministrazione si è determinata, così da rendere palese l’iter logico – giuridico seguito ai fini dell’emanazione di un determinato provvedimento amministrativo, assicurando, per un verso, le esigenze di trasparenza e di buon andamento dell’azione amministrativa e, per altro verso, consentendo la più efficace tutela a chi dal predetto provvedimento amministrativo sia stato inciso attraverso la predisposizione delle più adeguate difese.

I delineati elementi della motivazione, ad avviso della Sezione, sono effettivamente presenti negli impugnati provvedimenti di autorizzazione paesaggistica, atteso che diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, essi danno conto degli elementi di fatto (domanda di concessione e i variante, progetto dei lavori di cui si chiedeva la concessione, riunione della commissione edilizia integrata) e di diritto (articolo 151 della legge 29 ottobre 1999, n. 490; legge regionale 31 ottobre 1994, n. 63; legge 15 maggio 1997, n. 127) sulla scorta dei quali l’amministrazione comunale è giunta ad esprimere una valutazione positiva sulle richieste dei signori Renato Meneghetti e Anselmi Elda Maria.

Né può sostenersi che l’onere della motivazione doveva riguardare anche il merito dell’autorizzazione e cioè il parere “favorevole”: anche a voler prescindere dal fatto che proprio l’espressione “favorevole”, come puntualmente rilevato dai primi giudici, è di per sé univoca nel rendere evidente la piena conformità del progetto presentato rispetto alla disciplina edilizia ed urbanistica vigente, così che non si capisce quale ulteriore precisazione avrebbe dovuto essere aggiunto nella prima autorizzazione prot. 3712 del 21 marzo 2003, non può non rilevarsi che con riferimento alla richiesta di variante l’amministrazione comunale ha anche specificato le ragioni del parere favorevole “…in quanto trattasi di riportare l’altezza del colmo di copertura allo stato originario e atteso che i progettati lavori considerati nella loro globalità e non esclusivamente nel dettaglio risultano coerenti con le ragioni che hanno originato il vincolo paesaggistico”.

E’ appena il caso di rilevare che, in ogni caso, un particolare e approfondito onere di motivazione neppure poteva porsi, trattandosi di un provvedimento di accoglimento delle istanze dei privati, così che l’obbligo di una puntuale e circostanziata motivazione era da predicarsi solo nel caso di diniego della concessione (e ciò coerentemente con la delineata ratio della motivazione).

Spettava, dunque, all’appellante provare l’erroneità del parere favorevole eventualmente sotto il profilo del travisamento dei fatti ovvero della carente istruttoria, non essendo sufficiente ad inficiare le predette autorizzazioni paesaggistiche il presunto difetto di motivazione; ciò senza contare che, con particolare riguardo alla seconda autorizzazione paesaggistica (prot. 14598 del 12 novembre 2003), la Sovrintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio del Veneto Orientale, con nota 13076/ba del 5 dicembre 2003 ha espressamente affermato che non sussistessero motivi di illegittimità idonea ad annullarla, essendo l’intervento compatibile con le esigenze di tutela ambientale e paesaggistica: tale provvedimento non risulta neppure impugnato.

Per completezza, la Sezione ritiene opportuno evidenziare quanto alla prima autorizzazione paesaggistica che, benchè non risulta versata in atti il relativo provvedimento della competente Sovrintendenza, alcun dubbio è stato sollevato sulla sua esistenza, né è stato dedotto e provato l’eventuale intervenuto annullamento della predetta autorizzazione paesaggistica (rispetto alla quale la concessione edilizia n. 120/2002 risulta essere stata emanata dopo la scadenza dei termini per l’esercizio del potere di annullamento da parte degli uffici della predetta Sovrintendenza).

II. Alla stregua di tali considerazioni l’appello deve essere respinto.

Le spese del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal signor Adriano Meneghetti avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione II, n. 367 del 20 febbraio 2004, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento in favore delle parti costituite delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano complessivamente in €. 5.000 (cinquemila), di cui €. 2.500,00 (duemilacinquecento) in favore del Comune di Fontaniva e altrettanti €. 2.500,00 (duemilacinquecento) in favore dei signori Renato Meneghetti e Elda Maria Anselmi.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità giudiziaria.

Così deciso in Roma, addì 28 febbraio 2006, dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato, riunita in camera di consiglio, con l’intervento dei seguenti magistrati:

STENIO RICCIO - Presidente

COSTANTINO SALVATORE - Consigliere

PIER LUIGI LODI - Consigliere

ANTONINO ANASTASI - Consigliere

CARLO SALTELLI - Consigliere, est.

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

Carlo Saltelli Stenio Riccio

IL SEGRETARIO

Rosario Giorgio Carnabuci

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

31 ottobre 2006

(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)

Il Dirigente

Antonio Serrao