Consiglio di Stato, sez. V, 27 aprile 2006 n. 2364
 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE
Sezione Quinta

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso n. 2798 del 2002, proposto dalla sig.ra Angela Cacciapuoti, rappresentata e difesa dall’avv. Giacomo Mauriello elettivamente domiciliata presso il medesimo in Roma, via Sistina 121;

contro

il Comune di Calvizzano, rappresentato e difeso dagli avv.ti Geremia Biancardi e Erasmo Fuschillo, elettivamente domiciliato presso lo Studio Legale Fontanelli in Roma, via Emilio dei Cavalieri n. 11, e
il sig. Francesco Simioli, rappresentato e difeso dagli avv.ti Andrea Abbamonte e Giuliano Agliata, elettivamente domiciliato presso il primo in Roma. Via degli Avignonesi 5;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, 9 ottobre 2001 n. 4510, resa tra le parti.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio degli appellati;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 20 dicembre 2005 il consigliere Marzio Branca, e udito l’avv. G. Mauriello .
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO
Con la sentenza in epigrafe è stato respinto il ricorso proposto dalla signora Angela Cacciapuoti per l’annullamento della concessione edilizia n. 5 del 2000 in variante della precedente concessione n. 3 del 1998, anch’essa impugnata, rilasciata dal Comune di Calvizzano al sig. Francesco Simioli, per la realizzazione di un fabbricato di civile abitazione su terreno adiacente alla proprietà della ricorrente.
Il TAR ha ritenuto che gli addebiti mossi ai provvedimenti impugnati risultavano infondati non ravvisandosi contrasto con la normativa urbanistica vigente nel predetto Comune.
La sig.ra Cacciapuoti ha proposto appello sostenendo l’erroneità della sentenza e chiedendone la riforma.
Il Comune di Calvizzano e il sig. Francesco Simioli si sono costituiti in giudizio per resistere al gravame.
Con sentenza 4 maggio 2005 n. 2152, la Sezione ha disposto un incombente istruttorio, incaricando il Direttore della Direzione urbanistica, pianificazione, beni ambientali della Provincia di Napoli a procedere ad una consulenza circa:
a) la qualificazione edilizia da attribuire alle opere eseguite sulle particelle catastali n. 577, 578 e 579 nel Comune di Calvizzano, alla stregua delle normativa del piano regolatore generale vigente e del piano di recupero di zona;
b) le caratteristiche volumetriche, di altezza complessiva e di sedime dei manufatti eseguiti rispetto alle medesime caratteristiche degli immobili insistenti in precedenza sulle stesse particelle;
c) la conformità dei detti manufatti rispetto a quanto assentito con le concessioni edilizie n. 43 del 1992, n. 3 del 1998 e n.5 del 2000.
Il tecnico incaricato della perizia, arch. Lucio Grande, ha depositato la sua relazione in data 1 agosto 2005.
L’appellante ha replicato con perizia di parte depositata il 18 novembre 2005.
Alla pubblica udienza del 20 dicembre 2005 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO
I dati di fatto sono ampiamente noti alle parti sicché appare sufficiente una esposizione estremamente sintetica.
Il Comune di Calvizzano ha rilasciato complessivamente tre concessioni per opere edilizie da seguirsi su un’area prospiciente la proprietà della ricorrente in primo grado, oggi appellante, la quale ha esposto, in quella sede e nell’atto di appello, che:
1) la prima concessione, n. 43 del 1993, riguardava la ristrutturazione di due dei tre corpi di fabbrica esistenti sulla predetta area, distinti in catasto con le particelle n. 577 e 579; che le signore Liccardo, titolari della concessione, hanno proceduto alla completa demolizione dell’immobile di cui alla particella n. 577 e hanno dato l’avvio alla realizzazione di un nuovo edificio mediante la collocazione nel terreno di pali di cemento armato; che i relativi lavori sono stati sospesi per provvedimenti sindacali;
2) con domanda del giugno 1995, ancora le signore Liccardo richiedono una variante della precedente concessione e il Comune ha accolto la domanda rilasciando la concessione n. 3 del 1998, con la quale a) si autorizza in sanatoria la demolizione del fabbricato sub particella n. 577, b) si autorizza un nuovo progetto che, coinvolgendo il manufatto esistente sulla particella n. 579, destinato, secondo la concessione originaria, ad essere restaurato e reso autonomo con wc e lavabo, prevede ora un unico edificio composto di piano cantinato, piano rialzato, primo piano e un sottotetto (c.d. suppenno) in legno;
3) con domanda del novembre 1999 le titolari della concessione, avendo acquistato anche il terzo manufatto presente sull’area in particella n. 578, ubicato tra le particelle n. 577 e n. 579, hanno chiesto una nuova concessione in variante, che il Comune ha rilasciato con provvedimento n. 5 del 2000; in tale occasione si è disposta la volturazione del titolo concessorio a favore del sig. Francesco Simioli, attuale appellato, acquirente dei tre immobili; il nuovo progetto ricalca il precedente ma i piani abitabili passano da due a tre.
La contestazione dell’appellante consiste nella denuncia dell’illegittimità dei due provvedimenti concessori, rispettivamente del 1998 (n. 3 del 1998) e del 2000 (n.5 del 2000) per violazione degli artt. 13 e seguenti della legge 28 febbraio 1985 n. 47, della legge n. 28 gennaio 1977 n. 10 e dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241.
In sintesi si afferma che non poteva essere autorizzata in sanatoria la demolizione totale dell’immobile in particella 577, assumendosi che l’accertamento di conformità di cui all’art. 13 della legge n. 47 del 1985 presupporrebbe pur sempre un insieme di opere esistenti da autorizzare, mentre ciò che più non esiste non potrebbe essere sanato.
In secondo luogo si denuncia che le opere assentite si pongono in contrasto con la normativa urbanistica vigente nel Comune, che pur ammettendo la ristrutturazione di edifici preesistenti, vieta incrementi della volumetria superiori al 5%.
Le censure dedotte non possono essere accolte.
Con riguardo alla pretesa illegittimità della demolizione del fabbricato esistente occorre tenere conto che, come emerge anche dalla consulenza tecnica di parte, redatta dall’arch. Francesco Gambardella, allegata all’atto di appello, secondo la normativa di p.r.g., nell’area interessata dalla controversia era consentito attuare interventi di ristrutturazione edilizia di tipo A, che consistono nella “sostituzione dell’organismo con altro in parte o in tutto diverso dal precedente anche dal punto di vista del sedime.”
Appare arduo, in presenza di una simile previsione, sostenere l’illegittimità di un intervento che, nel quadro di una ristrutturazione di tipo A, si è spinto alla demolizione del fabbricato da ristrutturare. La evidente conformità del tipo di intervento posto in essere, in difformità dalla concessione originaria, ma aderente alla normativa urbanistica, consente di ritenere il provvedimento di sanatoria esente dal vizio denunciato. Né va taciuto che la giurisprudenza amministrativa formatasi sull’applicazione dell’art. 31, comma 1, lett. d) della legge 5 agosto 1978 n. 457 ha costantemente affermato la legittimità di provvedimenti autorizzanti la demolizione di un edifico da ristrutturare (Cons. St., Sez. IV, 7 settembre 2004 n. 5791; 10 febbraio 2004 n. 476; Sez. V, 8 agosto 2003 n. 4593).
E’ poi da aggiungere che la specifica normativa di p.r.g., sopra richiamata, consente indubbiamente ambiti di intervento più incisivi di quelli concordemente ammessi dalla giurisprudenza, che è solita vincolare il nuovo edificio al rispetto delle superfici, dei volumi e della sagoma dell’edificio demolito. L’art. 3 delle dette N.T.A., infatti, con riferimento alla ristrutturazione di tipo A, come quella in discussione, ipotizza espressamente la “sostituzione dell’organismo esistente con un altro di tipo diverso, anche per quanto riguarda l’area di sedime” , vietando in questo caso aumenti di volume.
L’eccedenza del volume del nuovo edificio, rispetto alla preesistenza, costituisce il secondo motivo di doglianza.
Si afferma che: a) il volume dell’immobile demolito era inferiore, dovendosene calcolare l’altezza da terra al piano dell’ultimo solaio calpestabile (m. 8,75) perché la parte superiore, elevata fino a metri 11,90, non abitabile, non era valutabile; b) il progetto approvato utilizza anche i volumi dei due fabbricati di cui alle particelle catastali n. 578 e 579 che rappresentano corpi autonomi e separati sul piano della utilizzazione concreta rispetto al precedente organismo.
Quanto all’argomento sub a) il Collegio ritiene di dovere tener conto della valutazione espressa dal consulente d’ufficio, il quale ha affermato che il metodo corretto di calcolo del volume si basi sull’altezza calcolata da terra, non all’ultimo piano calpestabile, bensì alla “linea di gronda” (il punto più basso del tetto), che, nella specie, comporta un incremento del volume dell’organismo preesistente. Il Collegio ritiene di aderire a tale criterio, traendo argomento dal fatto che, lo stesso consulente di parte appellante, arch. Francesco Gambardella, nella memoria di replica depositata il 18 novembre 2005, effettua il calcolo del volume utilizzando l’altezza alla linea di gronda, pur dissentendo circa la misura di n. 9,70 di altezza del nuovo edificio, che egli valuta in m. 9,85.
A tale ultimo riguardo, poiché l’altezza di m. 9,70 è quella riportata sulle tavole di progetto, allegate anche alla perizia del detto consulente di parte, la tesi del perito di ufficio non può ritenersi validamente contraddetta.
Tale conclusione si estende anche alla contestazione sub b), con la quale si nega la legittimità della utilizzazione dei volumi dei manufatti esistenti all’interno del cortile sulle particelle n. 578 e n. 579, perché il criterio condurrebbe, attraverso l’accorpamento di unità immobiliari anche distanti tra loro, allo stravolgimento del concetto di ristrutturazione di un immobile.
La tesi non può essere seguita perché non collimante con la fattispecie in esame. L’esame delle planimetrie permette di verificare che i manufatti di cui alle tre particelle catastali interessate alla ristrutturazione erano tra loro strettamente contigui, con mura confinanti in aderenza, quasi come gli appartamenti una moderna palazzina, che possono ben essere considerati unitariamente ai fini della ristrutturazione del complesso immobiliare che venivano a comporre. Il volume delle due stanze a piano terra era dunque legittimamente utilizzabile nella realizzazione del nuovo e diverso edificio, come consentito dalle vigenti N.T.A.. Nella replica del perito di parte, citata prima, si adombra l’ipotesi che tali manufatti siano stati computati, dal perito d’ufficio, come se si elevassero alla stessa altezza del fabbricato principale, ma la tesi non è sorretta da alcun principio di prova.
In conclusione l’eccedenza volumetrica del nuovo fabbricato rispetto alla preesistenza, lamentata dall’appellante, è addebitabile in parte ad inesattezza metodologica nel calcolo dell’altezza, e per altra parte alla mancata considerazione dei volumi dei fabbricati minori, la cui utilizzazione, erroneamente, è stata ritenuta non legittima. Debbono quindi approvarsi le valutazione del consulente d’ufficio che hanno ravvisto una sostanziale coincidenza volumetrica degli immobili in comparazione.
L’appello va dunque rigettato.
Il compenso da corrispondere al consulente tecnico d’ufficio va posto a carico della parte soccombente, ma sussistono valide ragioni per disporre la compensazione del presente grado di giudizio.
P. Q. M
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, rigetta l’appello in epigrafe;
condanna l’appellante al pagamento del compenso liquidato al consulente tecnico come da sentenza della Sezione 4 maggio 2005 n. 2152;
dispone la compensazione delle spese;
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 dicembre 2005 con l'intervento dei magistrati:
Raffaele Iannotta Presidente
Giuseppe Farina Consigliere
Aldo Fera Consigliere
Marzio Branca Consigliere est.
Gabriele Carlotti Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Marzio Branca F.to Raffaele Iannotta
IL SEGRETARIO

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il 27 APRILE 2006 (Art. 55 L. 27/4/1982, n. 186)
p. IL DIRIGENTE
F.to Livia Patroni Griffi