Consiglio di Stato, Sez. V, 21 aprile 2006 n. 2261
 

REPUBBLICA ITALIANA N.2261/06 REG.DEC.

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n.r.g. 11085 del 2000, proposto dalla PA.LU.CE. S.N.C. in persona dell’amministratore sig. Pasquale Cesarano rappresentata e difesa dagli avv.ti Gennaro Improta, Vincenzo Improta e Lucia Mancusi domicilia presso la Segreteria della Sezione, in Roma, Piazza Capo di Ferro, 13;

contro

il Comune di Scafati rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Caliulo ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Angelo Clarizia, in Roma, via Principessa Clotilde n. 2;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sede staccata di Salerno, n. 209/2000, pubblicata il 12 aprile 2000;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore, alla camera di consiglio dell’8.2.2005, il consigliere Adolfo Metro ed uditi, altresì, gli avvocati G. Improta e G. Caliulo come da verbale d’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

La società appellante, a seguito del formarsi del silenzio-assenso, maturò titolo per la realizzazione di un intervento edificatorio su un suolo di proprietà.

Il sindaco, tuttavia, dispose, con atto 18 febbraio 1992 n. 004175, la sospensione dei lavori e, con provvedimento n. 4953 del 25/2/92, “annullò” la “concessione edilizia” in quanto “dalla documentazione allegata dalla richiedente alla richiesta di concessione edilizia non si evince lo stato di edificazione ed urbanizzazione della zona indispensabile ai fini del superamento delle preclusioni per mancanza del piano attuativo approvato e programma pluriennale di attuazione”.

Il Tribunale di primo grado, dopo aver disposto l’acquisizione di una relazione tecnica che evidenziasse lo stato di edificazione e di urbanizzazione della zona interessata all’intervento edilizio, ha dichiarato il gravame inammissibile per difetto di interesse.

Ciò in quanto il progetto sul quale si era formato il silenzio-assenso si pone in netto contrasto con le norme urbanistiche applicabili alla zona interessata “poiché l’articolo 8, nono comma della L. 25/3/82, n. 94… include tra i presupposti essenziali della formazione del silenzio assenso l’allegazione alla domanda medesima del certificato di destinazione urbanistica dell’area interessata all’intervento, unitamente alla dichiarazione del progettista di conformità della istanza alle prescrizioni ivi indicate; “pertanto, anche se il collegio avesse dichiarato illegittimo l’atto di “annullamento” di cui al provvedimento sindacale, la società sarebbe rimasta comunque priva della concessione edilizia, attesa la non conformità del progetto alle norme urbanistiche vigenti.

Avverso tale sentenza, si sostengono i seguenti motivi di appello:

-violazione di legge (art. 112 c.p.c.) in quanto la sentenza avrebbe violato il fondamentale principio di cui alla richiamata norma, ampliando e modificando il “thema decidendum”, che era limitato alla mancata dimostrazione della sufficiente urbanizzazione della zona;

-violazione di legge (artt.100 e 112 c.p.c., art. 2 della L. n. 1034/71, art. 654 c.p.c.), perché il solo annullamento dell’atto non sarebbe stato privo di valore pratico, dato che la concessione edilizia avrebbe riacquistato la sua efficacia, consentendo l’esercizio dell’attività edilizia già assentita;

-violazione di legge (art. 8, comma 12 della L. n. 94/82) in quanto, prima di procedere all’annullamento, l’amministrazione avrebbe dovuto indicare gli elementi progettuali o esecutivi in contrasto con le norme vigenti, assegnando un termine per provvedere alle modifiche richieste; inoltre, essendo la zona già urbanizzata, doveva escludersi la necessità di un piano particolareggiato;

-violazione di legge (art. 112 c.p.c., norme di attuazione del P.di. F, art. 13 della L. n. 1150/42) perchè la sentenza di primo grado ha omesso di decidere sull’impugnativa del piano particolareggiato, adottato dal Comune con delibera n. 629/90 che, nel caso di specie, avrebbe illegittimamente modificato le previsioni del P.di F.;

-contradditorietà della motivazione della sentenza, in relazione ai motivi sopra esposti.

In memoria, è stato affermato, inoltre, che la decisione del Tar sarebbe in contrasto con l’accertamento del giudice penale che, con sentenza del 5/12/95, ha assolto il legale rappresentante della Società appellante, ritenendo che quest’ultima fosse in possesso della concessione edilizia, essendo maturato il silenzio-assenso.

Il Comune, costituitosi in giudizio, ha sostenuto l’infondatezza dell’appello.

DIRITTO

Con l’appello in esame la società ricorrente sostiene l’erroneità della sentenza appellata perché ha dichiarato inammissibile il gravame non con specifico riferimento al motivo posto dall’amministrazione a fondamento dell’atto di “annullamento” della “concessione” ottenuta per silenzio-assenso e censurato da parte ricorrente, ma con riferimento alla non conformità del progetto edilizio alle norme urbanistiche vigenti, motivo non dedotto dall’amministrazione e che era emerso soltanto a seguito di ordinanza istruttoria disposta dal giudice di I grado.

La censura di ultrapetizione non appare condivisibile in quanto, secondo consolidata giurisprudenza, tale vizio non sussiste nel caso in cui il giudice, nell’ambito del “petitum” e della “causa petendi”, motivi la propria decisione con argomentazioni diverse da quelle prospettate dalle parti, ovvero, proceda ad autonoma ricerca delle norme sulle quali fondare la decisione ( C.S. V n. 8997/04).

Sotto altro profilo, va comunque rilevato che è ormai consolidato l’orientamento della giurisprudenza secondo cui l’equivalenza tra pianificazione urbanistica esecutiva e stato di sufficiente urbanizzazione della zona, ai fini del rilascio della concessione edilizia, non opera nel procedimento di formazione del silenzio-assenso sulla domanda di concessione edilizia, ex articolo 8 D.L. 23 gennaio 1982, n. 9, convertito in L. 25 marzo 1982, n. 94, applicabile alla specie in esame.

Infatti, nella previsione dell’art. 8 cit., l’assenso tacito si perfeziona “per gli interventi da attuare su aree dotate di strumenti urbanistici attuativi vigenti e approvati non anteriormente all’entrata in vigore della legge 6 agosto 1967, n. 765, nonché quando la concessione o autorizzazione è atto dovuto in forza degli strumenti urbanistici vigenti e approvati non anteriormente alla predetta data“.

Il legislatore, dunque, ha subordinato il silenzio-assenso alla esistenza di una disciplina di dettaglio “che predetermini in modo puntuale le caratteristiche della edificazione consentita”, in modo che l’assenso, in quanto atto dovuto, sia “agevolmente verificabile mediante un raffronto fra dati obiettivi dettagliatamente predeterminati“.

Del resto, l’applicazione del citato art. 8 in assenza del presupposto anzidetto trova ostacolo “nella formulazione testuale della norma, indirizzata ad una regolamentazione esaustiva e circoscritta del silenzio” (cfr. C.S. V, n. 150/98; V, n. 1381/98; cfr. anche C.Cost. n. 12/96).

Deriva da ciò la legittimità della motivazione del provvedimento 25 febbraio 1992 n. 4953 dell’Amministrazione, secondo cui la formazione del silenzio-assenso postula la operatività di un piano attuativo (o comunque ad un livello di urbanizzazione tale da superare le preclusioni derivanti dalla mancanza di un piano attuativo, situazione, questa, non provata da parte appellante).

Anche per tale profilo l’appello deve, di conseguenza, ritenersi infondato poiché, in mancanza di un piano attuativo, non si è verificato il silenzio-assenso vantato dalla società appellante in ordine alla domanda di concessione edilizia de quo, con conseguente inammissibilità anche delle ulteriori censure proposte.

Nessun rilievo, infine, può attribuirsi alla sentenza 14 settembre 2000 n. 1550-95 del pretore di Nocera Inferiore atteso che la valutazione dei fatti in quella sede considerati non influiscono sul giudizio amministrativo.

Per altro verso nella stessa sentenza si dà atto che il piano particolareggiato “S. Pietro” era stato adottato dal Consiglio comunale di Scafati, ma non era stato approvato; pertanto tale strumento non era efficace e quindi non poteva costituire il presupposto per la formazione del silenzio-assenso, secondo la disciplina posta dalla l. n. 94 del 1982.

Infatti il giudicato penale può essere efficace, quanto all’accertamento dei fatti materiali accertati, nel giudizio amministrativo, nei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile, giusta l’art. 654 del c.p.p. vigente.

E’ evidente che il Comune di Scafati non può essere identificato come imputato o responsabile civile; lo stesso comune d’altra parte non si è costituito parte civile nel giudizio penale nei confronti del Sig. Pasquale Cesarano, giusta quanto si desume e dal testo della sentenza 14 settembre 2000 n. 1550-1995 (doc. 3 fascicolo depositato presso il Consiglio di Stato il 7 dicembre 2000).

L’ininfluenza della sentenza di proscioglimento citata sopra non potrebbe essere esclusa in relazione al disposto dell’art. 652 c.p.p. vigente.

Infatti tale norma, a parte qualsiasi altra considerazione, riguarda l’efficacia della sentenza penale di proscioglimento nel giudizio civile amministrativo di danno.

Il presente giudizio non è di danno, posto che nessuna domanda risarcitoria è stata proposta.

Né si può trascurare il fatto che il Comune di Scafati, giusta quanto già precisato, non è stato parte del giudizio penale;

la costituzione in tale giudizio è indispensabile per l’applicazione del citato art. 652 c.p.p..

L’impossibilità di identificare nel caso di specie il silenzio-assenso importa la fondatezza della misura adottata dall’amministrazione comuinale, preordinata a contestare la difformità dell’iniziativa edilizia rispetto alla normativa vigente.

Rispetto a tale conclusione elaborata sul presupposto delle acquisizioni istruttorie e delle deduzioni delle parti in giudizio, è corretta la soluzione della improcedibilità del giudizio di primo grado.

Invero la eventuale fondatezza delle censure proposte im prime cure non potrebbe importare la identificabilità di una situazione abilitante al completamento lecito dell’iniziativa edilizia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sez.V, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, respinge l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado; compensa, tra le parti, le spese di onorario e di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso, in Roma, l’8 febbraio 2005, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione V, nella Camera di Consiglio, con l’intervento dei magistrati:

Raffaele Iannotta Presidente

Raffaele Carboni Consigliere

Aldo Fera Consigliere

Claudio Marchitiello Consigliere

Adolfo Metro Consigliere relatore estensore

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

f.to Adolfo Metro f.to Raffaele Iannotta

IL SEGRETARIO

f.to Rosi Graziano

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21 aprile 2006 (Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

PER IL DIRIGENTE

Livia Patroni Griffi

N°. RIC .11085/2000