CONSIGLIO DI STAT Ricorso n. 8640/00     Sent 6906/06
 

salva
 

Il  Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale,   Quinta  Sezione 

        DECISIONE

    sul ricorso in appello n. 8640/2000, proposto dal sig. Rocco ROCHIRA, rappresentato e difeso dall’avv. Amedeo BARBERIO presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio dell’avv. Roberto Barberio, via Baronio 54/A,

    CONTRO

    il Comune di CASTELLANETA, in persona del Sindaco p.t., non costituitosi in giudizio,

    per la riforma

    della sentenza del TAR della Puglia, Sezione I di Lecce, 29 marzo 2000, n. 1914;

    visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

    visti gli atti di causa;

    relatore, alla pubblica udienza del 4 aprile 2006, il Consigliere Paolo BUONVINO;

    udito l’avv. Sergio MAGLIO, per delega dell’avv. BARBERIO, per l’appellante.

    Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:

    FATTO

    1) - Con la sentenza in esame il TAR ha respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante per l’annullamento della nota 19 dicembre 1995, n. 23854, del Sindaco di Castellaneta, di rigetto dell’istanza in sanatoria ex art. 13 della legge n. 47/1985, presentata il 17 ottobre 1995, nonché della conseguente ordinanza di demolizione in data 21 dicembre 1995.

    La dichiarazione di conformità era relativa ad opere edilizie realizzate in località Magliari; opere di pertinenza della omonima masseria e consistenti nella realizzazione di un bagno (mt. 3,35 x 2,47 per mt. 2,40 di altezza), di una porcilaia di tufi (di mt. 6,20 x 2,65 x 1,20) e di due piccoli vani in muratura e soprastante soletta di calcestruzzo ad uso canile (mt. 1,30 x 1,20 x 0,90), oltre alla recinzione lato nord-est della masseria di mt. 10,70 circa, con due cancelli e muro in cemento con paletti e rete zincata.

    Il diniego di sanatoria (basato sul parere in proposito reso dalla Commissione edilizia) era riconducibile al fatto che “non è stato citato titolo di proprietà idoneo a giustificare la realizzazione del manufatto”.

    2) - Per il TAR il diniego opposto era da ritenersi correttamente motivato, non avendo indicato, l’interessato, un idoneo titolo di proprietà inerente il terreno predetto; ai fini della sanatoria edilizia di cui all’art. 13 della legge n. 47/1985, infatti, ad avviso dei primi giudici, continua ad operare il disposto di cui all’art. 4 della legge n. 10 del 1977 (che presuppone, da parte del richiedente la concessione edilizia, la documentazione del titolo di possesso) mentre non opererebbe il disposto di cui all’art. 31 della legge n. 47/1985, in quanto valido solo ai fini del versamento dell’oblazione e della sottrazione, quindi, del dichiarante alla sanzione penale correlata alla realizzazione dell’abuso edilizio; con la conseguenza che resta anche fermo il dovere dalla P.A. di verificare l’effettiva esistenza di un valido titolo di disponibilità giuridica dello jus aedificandi, in mancanza del quale la sanatoria non può essere accordata; e, nella specie, non era da ritenersi sufficiente la semplice affermazione dell’acquisizione dei beni in questione mediante usucapione, in quanto l’interessato avrebbe dovuto quanto meno munirsi, a tal fine, di una sentenza ricognitiva della stessa.

    Per i primi giudici era, poi, anche legittimo il conseguente ordine di demolizione che atteneva solo ad opere richiedenti la concessione e non la semplice autorizzazione edificatoria.

    3) - Per l’appellante la sentenza sarebbe erronea.

    E, invero, non solo la CEC non avrebbe potuto pronunciarsi se non sulla conformità delle costruzioni alla allora vigente disciplina edificatoria (non avendo, invece, competenza a pronunciarsi sulla dichiarazione - relativa all’intervenuta usucapione - concretamente resa nella specie dal richiedente il titolo in sanatoria), ma avrebbe anche errato nel ritenere che, ai fini dell’applicazione dell’art. 13 della legge n. 47/1985, fosse richiesta la stessa sussistenza di un idoneo titolo di possesso al pari di quanto previsto dall’art. 4 della legge n. 10 del 1977; opererebbe, infatti, nella specie la stessa disciplina derogatoria di cui all’art. 31 della legge n. 47 del 1985, che abilita alla richiesta concessoria ogni altro soggetto interessato al conseguimento  della sanatoria.

    Ne conseguirebbe l’illegittimità anche dell’ordine di demolizione pure impugnato in primo grado che, ad ogni buon conto, sarebbe autonomamente illegittimo in quanto inerente ad opere che, in quanto semplici pertinenze, sarebbero state assoggettate non a regime concessorio ma autorizzatorio, sicché non sarebbero state sanzionabili con la demolizione, ma solo con sanzione pecuniaria.

    Non si è costituito in giudizio il Comune appellato.

    4) - L’appello è fondato.

    Ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47/1985, la dichiarazione di conformità disciplinata dalla norma e della cui applicazione è stata fatta questione nella specie prevede che la sanatoria ivi disciplinata sia accordata al “responsabile dell’abuso”.

    La norma, quindi, a differenza di quanto previsto dall’art. 4 della legge n. 10 del 1977 (invocato dai primi giudici) non trova applicazione solo in presenza di una domanda avanzata dal proprietario o da altro titolare di diritto reale in quanto l’abuso sia al medesimo ascrivibile, ma anche in presenza della domanda avanzata da colui che, dell’abuso, è comunque responsabile in quanto, sanato l’abuso, non potrebbe essere più chiamato a rispondere sul piano sanzionatorio penale e/o amministrativo.

    E potenziale responsabile dell’abuso può essere non solo il proprietario o altro soggetto che vanti, sull’area, un diritto reale o obbligatorio, ma anche, ad esempio, il titolare o altro responsabile dell’impresa realizzatrice dei lavori, come anche altri soggetti che, in relazione al loro rapporto privilegiato o comunque qualificato con il bene (in quanto, ad esempio, legittimi detentori o possessori dello stesso), possano avere avuto la possibilità di realizzare l’abuso, così assumendosene la responsabilità.

    Fermo, comunque, che il proprietario delle aree, facendo valere le dovute azioni in sede civile, rivendicando, ad esempio, l’esclusiva proprietà delle stesse, non ne ritorni in possesso e decida di procedere alla rimozione delle opere oggetto di sanatoria, ma questo rientra nelle ordinarie facoltà del proprietario delle aree.

    Il criterio della “responsabilità” non prefigura, infatti, ai fini del rilascio della sanatoria, la sussistenza, in capo al richiedente, di uno specifico rapporto giuridico sottostante di natura reale o obbligatoria con il bene oggetto della sanatoria (area di sedime e manufatto), ma pone l’accento  - e il presupposto giuridico per l’applicabilità della norma – sul comportamento dell’autore dell’illecito; in quanto artefice delle opere non consentite (ma conformi, comunque, alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione delle opere che al momento della richiesta della sanatoria), il “responsabile dell’abuso” è legittimato – anche per non incorrere nel regime sanzionatorio – ad avanzare la dichiarazione di conformità e conseguire il relativo titolo autorizzatorio o concessorio, salvi restando, naturalmente, i diritti dei terzi.

    La sanatoria, del resto, si correla, normalmente, anche all’ordine di demolizione delle opere ed è naturale che l’amministrazione la richieda anche a colui che, versando in un rapporto privilegiato di proprietà, possesso o detenzione del bene realizzato in assenza o difformità del titolo e in quanto, comunque, responsabile della loro realizzazione, è in grado di procedere alla rimozione delle stesse; e questo medesimo soggetto logicamente è stato individuato dal legislatore anche come colui che, per sottrarsi a tale determinazione ed agli effetti sanzionatori della propria condotta, può richiedere la sanatoria di cui al ripetuto art. 13 della legge n. 47 del 1985.

    In definitiva, anche chi, come l’odierno appellante, si trovi in una situazione di asserita maturazione del diritto di usucapione può, in quanto artefice e, quindi, responsabile dell’abuso, conseguire la sanatoria delle opere realizzate in assenza di titolo concessorio o autorizzatorio, così sottraendosi alle previste sanzioni e potendo, in assenza di contestazioni in ordine alla proprietà delle aree, continuare a beneficiare dell’utilizzazione delle opere sanate, salvi, naturalmente, i diritti dei terzi e, dunque, anche del legittimo proprietario delle aree stesse che intenda rivendicarle.

    5) - Per tali motivi l’appello in epigrafe appare fondato e va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto anche il ricorso di primo grado, mentre va annullato il provvedimento in quella sede gravato.

    Le spese del doppio grado possono essere integralmente compensate tra le parti.

    PQM

    il Consiglio di Stato, Sezione quinta, accoglie l’appello in epigrafe e, per l’effetto, in accoglimento del ricorso di primo grado, annulla il provvedimento in quella sede impugnato.

    Spese del doppio grado compensate.

    Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

    Così deciso in Roma il 4 aprile 2006 e, in prosieguo, il 27 giugno 2006, dal Collegio costituito dai sigg.ri:

    S E R G I O   SANTORO  - Presidente

    RAFFAELE  CARBONI – Consigliere

    GIUSEPPE    FARINA    – Consigliere

    PAOLO BUONVINO–Consigliere  est.

    NICOLA  RUSSO - C o n s i g l i e r e 

L'ESTENSORE    IL PRESIDENTE

f.to Paolo Buonvino    f.to Sergio Santoro 

IL SEGRETARIO 
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 23 novembre 2006