Corte Suprema di Cassazione, III Sez. Pen., 13-4-2007 n. 15054
 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
III SEZIONE PENALE


composta dagli Signori:
Presidente Dott. Guido De Maio
Consigliere " Aldo Fiale, Amedeo Franco, Antonio Ianniello, Giulio Sarno

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

1 - Meli Giuseppa, n.a. Palermo l'8-5-1970

2 - Chiazzese Francesco, n.a. Palermo il 26/7/1931

avverso la sentenza 22/9/2003 della Corte di Appello di Palermo.

Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Aldo Fiale;
Udito il P.M., in persona del Dott. Wladimiro De Nunzio che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Palermo, con sentenza del 22.9.2003, in parziale riforma della sentenza 43.2002 del Tribunale monocratico di quella città:
a) confermava l'affermazione della responsabilità penale di Meli Giuseppa e Chiazzese Francesco in ordine ai reati di cui:
- all'art. 20, lett. b), legge n. 47/1985 (per avere, in concorso tra loro, la prima quale proprietaria dell'area interessata ed il secondo, suocero della prima, quale committente dei lavori, realizzato in assenza della prescritta concessione edilizia un fabbricato con struttura in cemento armato, a due elevazioni fuori terra, delle dimensioni di circa mq. 120 per piano - acc. in Palermo, 1'8.3.2000);
- agli artt. 13 e 14 legge n. 1086/1971;
b) dichiarava estinti per prescrizione i reati di cui agli artt. 17, 18 e 20 legge n. 64/1974;
c) con le già riconosciute circostanze attenuanti generiche ed essendo stato ritenuto il vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., rideterminava per ciascuno la pena - condizionalmente sospesa - in mesi tre di arresto ed euro 6.500,00 di ammenda;
d) confermava l'impartito ordine di demolizione delle opere abusive, mentre revocava la disposta confisca dell'immobile in sequestro.

Avverso tale sentenza hanno proposto separati ricorsi gli imputati.

La Meli ha eccepito che:
- la propria responsabilità sarebbe stata incongruamente collegata soltanto alla qualità di proprietaria dell'area oggetto di edificazione. Non corrisponderebbero a realtà, invece, le dichiarazioni del teste Farina riferite alla di lei presenza nel cantiere al momento dell'accesso dei verbalizzanti (smentita da altri due testimoni), né ella avrebbe mai avuto la consapevolezza dei lavori in corso di esecuzione, commissionati esclusivamente dal suocero Chiazzese;
- la pena, pur dopo la dichiarata prescrizione di alcune fattispecie contravvenzionali, sarebbe stata rideterminava con percorso logico non motivato ed incomprensibile.

Il Chiazzese ha eccepito, a sua volta, che:
- egli avrebbe svolto un ruolo di "mero fiduciario" della proprietaria, "non avendo alcuna coscienza dell'esecuzione illecita delle opere";
- erroneamente sarebbe stata disconosciuta la natura di manutenzione straordinaria dei lavori in concreto realizzati, che avrebbero comportato "solo la sostituzione di parti dell'edificio già esistente, non alterando il volume e la superficie";
la pena sarebbe stata rideterminata senza congrua motivazione.

Risulta dagli atti che la Meli (in data 1.4.2004) ha presentato domanda di condono edilizio per il fabbricato in oggetto, ai sensi del D.L. n. 269/2003, in relazione alla quale il Comune di Palermo (con nota del 17.11.2006) ha comunicato di avere richiesto documentazione integrativa, con atto notificato il 27.10.2005, e di non avere avuto alcun riscontro, avendo perciò avviato il procedimento per la declaratoria di improcedibilità del l'istanza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, perché manifestamente infondati.

1. In ordine alla ritenuta responsabilità per l'esecuzione della costruzione abusiva, la giurisprudenza ormai assolutamente prevalente di questa Corte Suprema - condivisa dal Collegio - è orientata nel senso che il semplice fatto di essere proprietario o comproprietario del terreno (o comunque della superficie) sul quale vengono svolti lavori illeciti di edificazione, pur potendo costituire un indizio grave, non è sufficiente da solo ad affermare la responsabilità penale, nemmeno qualora il soggetto che riveste tali qualità sia a conoscenza che altri eseguano opere abusive sul suo fondo, essendo necessario, a tal fine, rinvenire altri elementi in base ai quali possa ragionevolmente presumersi che egli abbia in qualche modo concorso, anche solo moralmente, con il committente o l'esecutore dei lavori abusivi.

Occorre considerare, in sostanza, la situazione concreta in cui si è svolta l'attività incriminata, tenendo conto non soltanto della piena disponibilità, giuridica e di fatto, della superficie edificata e dell'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (principio del "cui prodest") bensì pure: dei rapporti di parentela o di affinità tra l'esecutore dell'opera abusiva ed il proprietario; dell'eventuale presenza "in loco" di quest'ultimo durante l'effettuazione dei lavori; dello svolgimento di attività di materiale vigilanza sull'esecuzione dei lavori; della richiesta di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; del regime patrimoniale fra coniugi o comproprietari e, in definitiva, di tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale, all'esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale delle stesse [vedi, tra le decisioni più recenti, Cass., Sez. III: 27.9.2000, n. 10284, Cutaia ed altro; 3.5,2001, n. 17752, Zorzi ed altri; 10.8.2001, n. 31130, Gagliardi; 18.4.2003, n 18756, Capasso ed altro; 2.3.2004, n. 9536, Mancuso ed altro; 28.5.2004, n. 24319, Rizzato ed altro; 12.1.2005, n. 216, Fucciolo; 15.7.2005, n. 26121, Rosato; 2.9,2005, n. 32856, Farzone].

La responsabilità per la realizzazione di una costruzione abusiva non prescinde, per il proprietario dell'area interessata dal manufatto, dall'esistenza di un consapevole contributo all'integrazione dell'illecito, ma grava sull'interessato l'onere di allegare circostanze utili a convalidare la tesi che, nella specie, si tratti di opere realizzate da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà (vedi Cass.: Sez. feriale, 16.9.2003, n. 35537, Vitale ed altro; Sez. III, 12.1.2007, Catanese)

Alla stregua di tali principi, la responsabilità della Meli correttamente risulta fondata sulla disponibilità giuridica e di fatto del suolo e sull'esistenza di comportamenti positivi (presentazione, in data 22.3.2000, di un'istanza di revoca del disposto sequestro preventivo e, in subordine, di autorizzazione ad eseguire lavori considerati indispensabili per proteggere la struttura abusivamente edificata; successiva presentazione anche della domanda di condono edilizio) da cui è razionalmente deducibile la partecipazione all'esecuzione delle opere abusive.

In una situazione siffatta non ha alcuna importanza accertare se corrisponda o meno al vero la circostanza della effettiva presenza dell'imputata nel cantiere abusivo in occasione dell'accesso dei verbalizzanti (presenza che, comunque, non risulta attestata nel relativo verbale). Lo stesso Chiazzese del resto - indicato dall'operaio Matteo Caruso quale persona che svolgeva attività di materiale vigilanza sull'esecuzione dei lavori e teneva i rapporti con gli esecutori materiali - assume di avere agito quale "fiduciario della proprietaria" e ciò, ovviamente, non lo esonera da colpa, integrata (quanto meno) dall'omessa doverosa verifica della legittimità dell'opera.

Emerge ad evidenza dagli atti, in conclusione, la consapevole e volontaria partecipazione di entrambi gli imputati alla costruzione abusiva, al di là della palese inconsistenza del reciproco tentativo di addossare all'altro la esclusiva responsabilità.

2. L'attività edilizia concretamente realizzata non può ricondursi alla manutenzione straordinaria, in quanto l'art. 3, 1° comma - lett. b), del T.U. n. 380/2001 [con definizione già fornita dall'art. 31, 1° comma - lett. b), della legge n. 457/1978] ricomprende in tale nozione "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare o sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare e integrare i servizi igienico- sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni d'uso".

Interventi siffatti devono essere comunque effettuati "nel rispetto degli elementi tipologici, strutturali e formali nella loro originaria edificazione" (vedi C. Stato, Sez. V: 25.11.1999, n. 1971 e 8.4.1991, n. 460).

Nella vicenda in oggetto, invece, lo stesso Chiazzese, già nell'atto di appello, ha affermato che si è proceduto alla ricostruzione di un vetusto immobile rovinato al suolo ed un intervento siffatto non soltanto non costituisce manutenzione straordinaria ma neppure è ricollegabile alla nozione di ristrutturazione, perché – secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema – la ricostruzione su ruderi costituisce sempre "nuova costruzione", in quanto il concetto di ristrutturazione edilizia postula necessariamente la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, cioè di un organismo edilizio dotato delle murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura. In mancanza di tali elementi strutturali non è possibile valutare l'esistenza e la consistenza dell'edificio da consolidare ed ruderi non possono che considerarsi alla stregua di un'area non edificata [vedi Cass., Sez. 13.1.2006, Polverina; 4.2.2003, Pellegrino; 20.2.2001, Perfetti; nonché C. Stato, Sez. V: 28.5.2004, n. 3452; 15.4.2004, n. 2142; 1.12.1999, n. 2021; 4.8.1999, n. 398; 10.3.1997, n. 2401].

3. La pena, infine, risulta motivatamente rideterminata con corretto riferimento ai criteri direttivi di cui all'art. 133 cod. pen. e, per i due reati già unificati nel vincolo della continuazione e poi dichiarati prescritti (puniti con la sola pena edittale dell'ammenda), la Corte di merito ha eliminato la pena complessiva, tutt'altro che esigua, di mesi due di arresto ed euro 5.500,00 di ammenda.

4. La inammissibilità dei ricorsi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto della prescrizione del reato che venga eventualmente a scadere in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata ed alla presentazione degli atti di gravame (vedi Casa., Sez. Unite, 21.122000, n. 32, ric. De Luca).

5. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella specie, non sussistono elementi per ritenere che "le parti abbiano proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della inammissibilità medesima segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere solidale delle spese del procedimento nonché, per ciascun ricorrente, quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di curo 1.000,00.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p.,

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali nonché ciascuno di essi al versamento della somma di euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende.

Depositato in cancelleria ROMA, 23.1.2007