Procedimenti amministrativi relativi ai titoli abilitativi edilizi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riflessioni in merito alle richieste di asserverazione o attestazione all'interno dei procedimenti amministrativi (PdC e DIA)
di romolo balasso architetto

L'esercizio di taluni interessi legittimi inerenti al diritto di proprietà costituisce, come noto, attività che, a seconda dei casi espressamente previsti dal legislatore, può essere:

  • libera;
  • subordinata a permesso di costruire;
  • subordinata a dichiarazione/denuncia di inizio attività.

I suddetti regimi sussistono in forma ordinaria nel senso che risulta sempre possibile ricorrere al permesso di costruire (facoltativo) per le opere subordinate a DIA (cfr. art. 22, comma 7 del testo unico edilizia), così come esiste la possibilità di adire alla DIA alternativa al PdC nei casi specificatamente previsti (cfr. art. 22, comma 3, sempre del TUED).

Sia il permesso di costruire che la DIA (a prescindere dalla discussa natura giuridica di quest'ultima) possono essere ritenuti, in senso generale e per i fini della presente riflessione, delle procedure obbligatorie in quanto necessarie a rimuovere un limite legale posto ex-ante (dal legislatore) per l'esercizio dei legittimi interessi inerenti la proprietà (jus aedificandi, jus utendi) in ragione degli interessi pubblici tutelati nell'ordinamento e rispetto ai quali si devono conformare.

La rimozione di tali lmiti legali, dunque, è possibile soltanto attraverso un procedimento rigidamente disciplinato, col quale accertare, verificare ed acclarare la conformità degli interventi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia (Si tratta di piani, leggi, regolamenti ed altri atti normativi con in quali si tutelano gli interessi pubblici nell'esercizio di un'attività discrezionale - cfr. art. 12 del TUED).

L'attività di "rimozione" si caratterizza fondamentalmente per l'assenza di valutazioni discrezionali in senso amministrativo per cui, fermo restando la possibilità di valutazioni discrezionali sotto l'aspetto tecnico, il provvedimento finale diventa atto dovuto quando sussistono le prescritte ed attese conformità.

La conformità è peratanto condizione presupposta per il rilascio del permesso di costruire ovvero, unitamente alla altre condizioni previste dall'ordinamento, per conferire efficacia alla DIA.

Oltre ad altri elementi caratterizzanti e differenzianti i due istituti, Permesso di Costruire e DIA, l'aspetto che maggiormente li può differenziare e caratterizzare è quello dei soggetti "incaricati" (quindi competenti) a svolgere la "funzione autoritativa" del controllo di conformità.

Nel permesso di costruire la "funzione" è esercitata dalla P.A., ovvero dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale (cfr. art. 13 TUED), mentre nella DIA il controllo compete al progettista abilitato (cfr. art. 23 comma 1 del TUED) attraverso gli opportuni elaborati e la relazione di asseverazione, fermo restando in capo alla PA (dirigente o responsabile del competente ufficio comunale) il potere inibitorio l'intervento nei tempi previsti in riscontro dell'assenza delle condizione prescritte (cfr. art. 23, comma 6 del TUED).

Presuntivamente, l'intervento inibitorio della PA è da qualificarsi come esercizio di funzioni di vigilanza piuttosto che di un atto in "concorso" nell'attività di controllo deferita al progettista (in ragione del fatto che gli interventi subordinati a DIA sono quelli c.d. "minori" o residuali).

Rileva osservare che le prestazioni di carattere personale nell'ambito della DIA sono poste in capo al professionista progettista da una fonte primaria come prescritto dalla Costituzione (cfr. art. 23); resta pertanto esclusa ogni altra fonte di rango inferiore (secondaria, regolamentare - spesso si trovano prescrizioni di prestazioni all'interno di modulistiche !!!).

Le attività finalizzate alla rimozione del citato limite legale presuppongono alcune condizioni fondamentali, forse qualificabili come pre-condizioni, in relazione al tipo di intervento, a seconda si tratti di:

  1. nuova costruzione (ex-novo);
  2. nuova costruzione in ampliamento (non autonomo) di una preesistente;
  3. modifica (manutenzione, conservazione e/o trasformazione) di costruzioni esistenti.

Nel primo e nel secondo caso, ad esempio, assume rilevanza il contesto entro il quale l'intervento si colloca in quanto sono prescritti dei particoari regimi inerenti le distanze (tra costruzioni, tra pareti di edifici antistanti, dei fabbricati dai confini, dalle vedute, ecc..).

Nel secondo e nel terzo caso, sempre ad esempio, rilevano almeno due condizioni di derivazione giurisprudenziale:

  • la costruzione deve essere esistente, non essendo tale quella che si trovi in stato di rudere;
  • la costruzione esistente deve risultare legittima posto che un intervento "intimamente" conforme non sana le abusività compiute su quanto preesiste, anzi sono queste a rendere illegittimo un intervento successivo ancorchè di per sè legittimo (principio dell'accessione?).

Tutte le condizioni ricordate, al pari di altre ulteriormente richieste, appartengono alla c.d. fase istruttoria, ossia a quella fase in cui si devono acquisire e valutare i singoli fatti e dati pertinenti e rilevanti per la decisione.

Sono tipici atti istruttori, ad esempio, i pareri, le valutazioni tecniche, le ispezioni, la richiesta di documentazioni. In ordine a quest'ultimo aspetto giova ricordare che le attività istruttorie in capo alla PA avvengono, in genere, sugli atti richiedibili e, quindi, prodotti dagli interessati.

Non sono richiedibili (esigibili) dagli interessati, atti, fatti, qualità e stati soggettivi necessari per l'istruttoria del procedimento, che sono in possesso dell'amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni, in quanto devono essere acquisiti d'ufficio: in tali casi la PA è legittimata a richiedere i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti (cfr. art. 18, commi 2 e 3 della legge 241/90).

Quanto prodotto dagli interesati, dunque, concorre a formare la volontà della PA tanto che a questa, in funzione di controllo autoritativo, resta esclusa ogni sorta di "delga" (o atto/richiesta che si potrebbe configurare come tale) su ciò che costituisce oggetto della sua stessa attività di controllo ossia gli apprezzamenti in ordine alla conformità da acclarare.

In questo senso si qualificherebbero come illegittime (pretestuose, dilatatore, violazione di legge, ecc..) le richieste agli interessati da parte della PA relative ad apprezzamenti o certificazione di stati, fatti e qualità ad essa riservate, specie se con effetti sospensivi del procedimento o nel caso in cui la non evasione delle stesse richieste fosse posta a motivazione del rigetto dell'istanza.

Infatti la PA deve fondare le sue decisioni su accertamenti e valutazioni proprie rispetto alle indicazioni fornite dagli interessati (e non recepirle acriticamente) e ciò in ragione degli interessi pubblici in tutela affidati alle sue "cure" proprio attraverso la funzione di controllo.

Si tratta di accertamenti e valutazioni di carattere obiettivo che devono condurre la PA ad apprezzamenti "di insieme di carattere oggettivo e teleologico".

Ad ogni modo non sembra preclusa la facoltà, da intendere come auspicata opportunità, di richiedere, nel reciproco interesse delle parti, forme di colaborazione sostenibile a condizioni che rimangano tali.

data documento:
27-04-2010
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