Il TAR del Veneto, con due sentenze distinte, è intervenuto sulle seguenti questioni di ricorso:
                                        
                                          Priva di pregio si palesa il primo motivo di ricorso con il quale la difesa   della ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 7 della l. n. 241 del 1990,   lamentando di non aver mai ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento   volto ad accertare la decadenza della concessione edilizia.
                                          Il Collegio reputa opportuno evidenziare che la problematica è   stata diffusamente analizzata dalla giurisprudenza che ha affermato due diversi   orientamenti.
                                          Un primo indirizzo ha, infatti, sostenuto che, operando la   decadenza della concessione di diritto al verificarsi dei presupposti   normativamente previsti, il provvedimento dichiarativo, ove adottato, ha   carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se con   l'inutile decorso del termine; ciò con la conseguenza che l'eventuale   provvedimento di decadenza è sufficientemente motivato con il richiamo alla   norma applicata, senza che sia necessaria una comparazione tra l'interesse del   privato e quello pubblico, essendo quest'ultimo ope legis prevalente sul   primo e non è neppure necessaria la comunicazione di avvio del procedimento,   essendo la decadenza un effetto che si verifica ipso iure, senza che   residui in capo all'Amministrazione alcun margine per valutazioni di ordine   discrezionale (cfr., ex multis, T.A.R. Basilicata Potenza, sez. I, 10   settembre 2010, n. 593; T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 30 gennaio 2009, n.   542; T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 08 ottobre 2002, n. 2339).
                                          Altro indirizzo, invece, ha affermato il principio in base al   quale la decadenza della concessione deve necessariamente tradursi in un   provvedimento espresso che ne accerti i presupposti e ne renda operanti gli   effetti, il quale, ancorché a contenuto vincolato, ha carattere autoritativo e   non è sottratto all'obbligo di motivazione di cui all’art. 3 della legge n. 241   del 1990 né alla comunicazione di avvio del procedimento, prescritta dall'art. 7   della stessa legge (Consiglio Stato, sez. V, 13 novembre 1995 , n. 1562; T.A.R.   Puglia Bari, sez. III, 02 dicembre 2008, n. 2728; T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 30   agosto 2005 , n. 6359;).
                                          Il Collegio sottolinea che, pur ove si ritenesse di aderire a   tale secondo indirizzo, invero minoritario, la violazione dell’obbligo di   comunicazione dell’avvio del procedimento, alla stregua della previsione di cui   all’art. 21-octies, comma 2 della l. n. 241 del 1990 – norma che, secondo   l’indirizzo prevalente, condiviso dal Collegio ha natura processuale ed è   pertanto applicabile anche ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore   della l. 15/2005 (cfr., Cons. St., sez. V, 17 settembre 2008, n. 4414; Cons.   St., sez. VI, 04 settembre 2007, n. 4614) – non costituirebbe, comunque, nella   fattispecie oggetto di giudizio, un vizio invalidante. 
                                          Come si avrà modo di evidenziare nei successivi capi della   presente pronuncia, infatti, dalla stessa documentazione versata in atti emerge   con tutta evidenza la sussistenza di elementi e circostanze tali da determinare   la decadenza della concessione edilizia, sicché l’apporto della società in sede   procedimentale non avrebbe potuto in alcun modo determinare l’adozione di un   provvedimento con contenuto diverso da quello concretamente adottato. Né,   contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa della ricorrente, era necessaria   nella fattispecie che qui ci occupa un’allegazione probatoria da parte   dell’amministrazione comunale ulteriore rispetto a quanto già reso evidente   dalla documentazione in suo possesso, ed ora agli atti del presente   giudizio.
                                          Ciò che si contesta è, nello specifico, la sussistenza dei   presupposti alla base dell’adozione del provvedimento dichiarativo della   decadenza. Le difese sia della ricorrente sia della società intervenuta   evidenziano, infatti, in primo luogo, che il concetto di “inizio dei lavori”,   rilevante ai fini della verifica circa la sussistenza dei presupposti alla base   della decadenza del titolo edilizio, deve essere parametrato allo specifico   oggetto della concessione edilizia che non concerne un intervento di nuova   costruzione bensì un diverso intervento di ristrutturazione con cambio di   destinazione d’uso da residenziale a direzionale di un complesso edilizio.   Partendo da tale puntualizzazione affermano che i lavori eseguiti – di pulizia   interna ed esterna dell’immobile, di approntamento delle impalcature esterne, di   deposito di materiali di demolizione all’esterno dell’edificio, di parziale   installazione di impalcature interne, di asporto di serramenti e di esecuzione   di alcuni lavori interni – erano idonei e sufficienti a palesare il serio ed   effettivo intendimento di procedere all’attuazione del progetto. 
                                          Il Collegio osserva, preliminarmente, che la ratio sottesa all’imposizione, a pena di decadenza, di un termine massimo per   l’esecuzione dei lavori da parte del soggetto in possesso del titolo che lo   abilita a realizzare il progetto edificatorio è da individuare nella necessità   di garantire la certezza dell’assetto urbanistico del territorio comunale,   evitando al tempo stesso intenti speculativi da parte di privati, che, una volta   ottenuto il permesso di costruire, non l’utilizzano per un periodo di tempo   indeterminato in attesa che si realizzino condizioni migliori per lo   sfruttamento a fini edificatoria dell’area, direttamente o mediante la cessione   del titolo abilitativo a terzi (Con. St., sez. V, 22 dicembre 2005, n.7342).
                                          Il Collegio evidenzia che, sebbene la premessa dalla quale   muovono le deduzioni della difesa di parte ricorrente siano corrette – e,   dunque, sebbene la valutazione in ordine all’inizio dei lavori debba essere   condotta prendendo a riferimento la consistenza effettiva del progetto assentito   e da eseguire – non sono condivisibili le conclusioni.
                                          Come esposto nella narrativa in fatto, il titolo edilizio è   stato notificato alla società ricorrente in data 3 luglio 1992 sicché in forza   della normativa vigente i lavori avrebbero dovuto essere iniziati entro il 3   luglio 1993 per concludersi entro e non oltre il 3 luglio 1996.
                                          La società ha presentato la denuncia di inizio   lavori in data 2 luglio 1993, quindi un giorno prima del termine entro il quale   i lavori avrebbero dovuto essere iniziati.
                                          Non è tuttavia sufficiente, al fine di precludere la decadenza,   la presentazione della denuncia di inizio dei lavori, essendo necessario che le   opere concretamente poste in essere entro l’anno dal rilascio del titolo siano   di consistenza tale da comprovare l’effettiva volontà del titolare della   concessione di realizzare quanto da lui progettato, e non meramente simboliche o   fittizie o comunque solo preparatorie.
                                          Questi principi, affermati dalla giurisprudenza prevalentemente   in fattispecie riferite ad opere di nuova edificazione, hanno portata e valenza   generale (cfr., ex multis, Cons. St., sez. IV, 15 luglio 2008, n. 3527;   Cons. St., sez. IV, 18 giugno 2008, n. 3030).
                                          Dal verbale di sopralluogo del 9 settembre 1996 (all. 4 delle   produzioni documentali di parte resistente) emerge che gli interventi che   risultavano eseguiti oltre tre anni dopo il rilascio del titolo edilizio si sono   sostanziati in mere opere di pulizia e di predisposizione delle impalcature   nonché nell’esecuzione di parziali interventi di demolizione (taluni, peraltro,   limitati alla rimozione di pareti interne divisorie) e nell’asporto di infissi   ed intonaci interni su alcuni vani.
                                          E’ significativo, peraltro, che solo in data 20 giugno 1996   (quindi pochi giorni prima della scadenza del termine del triennio) è stata   presentata dall’interessata l’istanza volta ad ottenere l’autorizzazione   all’apertura di un accesso carraio per esigenze di cantiere. Del pari   significativo è che tali opere sono quelle che la società odierna ricorrente è   riuscita a porre in essere nell’arco dell’intero triennio dalla data di avvio   dei lavori, sicché non emerge neanche che tali interventi siano stati eseguiti   entro l’anno dal rilascio del titolo edilizio.
                                          Considerate le caratteristiche dell’intervento assentito,   riferito non già ad una fattispecie di ristrutturazione cd. leggera bensì ad un   articolato intervento di ristrutturazione di un complesso immobiliare di   significative dimensioni (il cui stato, peraltro, emerge dalla documentazione   fotografica depositata agli atti del presente giudizio) in funzione anche della   modifica della destinazione d’uso, il Collegio non ritiene che le modeste opere   attuate siano sufficienti a palesare una seria ed effettiva volontà del titolare   della concessione a realizzare quanto progettato risultando, per contro, con   sufficiente evidenza, che entro l’anno dal rilascio del titolo i lavori non   avevano avuto alcun sostanziale, serio e concreto inizio di esecuzione.
                                          Del tutto legittimamente, dunque, l’amministrazione comunale,   riscontrata la sussistenza dei presupposti normativamente previsti, ha   dichiarato la decadenza della concessione edilizia.
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